Nel 1985 sono accadute molte cose sorprendenti. L’anno si apre con una nevicata, il 13 gennaio, la “nevicata del secolo” che investe tutto il nord Italia. Il 12 maggio una squadra di calcio semisconosciuta e con zero possibilità, l’Hellas Verona, vince il Campionato. Il 1 settembre sul fondo dell’oceano viene ritrovato il relitto del Titanic.
Oltre a queste grandi cose, però, ce ne sono altre. Più piccole, all’apparenza, ma non meno significative. Per esempio, in un piccolo paese salentino, Nardò, nasce Sara Scanderebech.
In origine pittrice, ma anche fotografa e artista visiva. Sceglie, come molti di noi migranti economici, di lasciare la Puglia per trasferirsi a Milano e studiare Arti Visive a Brera. Oggi vive di fotografia d’arte, moda, design. Nella sua storia è passata dalla Galleria Carla Sozzani agli spazi indipendenti come Macao, Standards e Buka, di cui attualmente cura la galleria, solo per citare alcuni dei lavori nella sua città elettiva, Milano.
Il suo sguardo si posa sulle cose invertendone il corso: “attraverso le mie immagini, cerco di lavorare sul senso dell’ambiguità. Spesso, chi guarda i miei scatti deve tornare a osservarli più volte: ciò che è ordinario risulta alieno, mentre ciò che è estraneo sembra stranamente familiare”.
Artista, sì. Ma le sue foto, le sue immagini, non sono solo arte. Sono anche pubblicità. Perché ogni prodotto ha bisogno di essere rappresentato – dai gioielli al food fino alla moda. Ed ecco che arrivano gli artisti visivi.
In due parole, Sara, qual è il tuo rapporto con la fotografia artistica e il compromesso – ché non è una brutta parola – con la fotografia commerciale e pubblicitaria? Non guardiamo solo alle grandi cose, pensiamo alle cose più piccole e sorprendenti, come i dettagli che ti piace ritrarre. Rispondendo a questa domanda, mostraci anche dei tuoi lavori.
Foto artistica e pubblicitaria per me hanno un rapporto positivo. Serpeggia oggi un certo disamore tra le due espressioni, ma è qualcosa di contemporaneo, a ben vedere, perché in passato le due cose andavano di pari passo. Pensiamo a Peter Lindbergh o Arthur Elgort: grandi artisti e grandi fotografi di moda che hanno scattato Madonna, Britney Spears e tanti altri. Io per esempio mi trovo a scattare foto a cantanti pop, oggi, in Italia e ogni volta mi faccio la stessa domanda: ma perché adesso abbiamo questa remora? Prima non l’avevamo. Cosa ci è successo?
Quindi è vero che esiste un certo limite percepito tra le due forme di fotografia, ma è superabile, se fatto nel modo giusto.
Faccio un esempio: da tempo, stavo sperimentando lo scatto in piscina, gli effetti delle bolle, i movimenti dell’acqua e simili. Avevo questa idea in testa e stavo studiando. Ma, per diversi motivi, per tanto tempo non ho trovato l’approccio giusto e soprattutto il mezzo giusto. Poi, arriva Cycle, un noto brand di jeans, che mi chiede di lavorare alla sua campagna pubblicitaria. Il jeans aveva dei bellissimi colori, dei lavaggi pazzeschi, perfetti per una rappresentazione surreale, quasi sarcastica. E ho pensato che quei miei studi sulle bolle e sull’acqua potessero sposarsi bene con il jeans per esaltare il brand. Ovviamente avrei comunque portato avanti quelle sperimentazioni e quegli scatti, ma c’è stato Cycle e così ho fatto rientrare la ricerca artistica in una campagna pubblicitaria.
Ecco, questo è un esempio per dire quanto la ricerca artistica spesso confluisca nelle campagne pubblicitarie. E anche viceversa, a dire la verità. Personalmente, soprattutto quando mi trovo davanti a allo scatto commerciale di un oggetto, perché a me viene naturale essere attratta dagli oggetti, ispirano moltissimo il mio lato artistico. Adoro lo still-life.
Ammetto di essere una fotografa un po’ sui generis su questo. Quando mi viene messo in mano un paio d’occhiali o una borsa da scattare per una pubblicità, non è mai un vuoto o un semplice oggetto da fotografare. Per me è chiaro che l’artista possa cogliere le texture, le vibrazioni degli oggetti, la storia che si portano dietro. Perfino oggetti sottovalutati, per esempio lo spazzolino da denti – io sognerei di fare delle foto per Oral B o Dyson, per dirne una – perché va bene l’alta moda ma poi ci sono tanti oggetti che concettualmente c’entrano col nostro self care, con la parte più intima delle nostre persone, col prendersi cura ogni giorno, e questa è una storia bellissima da raccontare.
Alla fine, se dovessi pensare a una singola parola per identificare il rapporto tra foto artistica e pubblicitaria ne sceglierei una che si muove nell’ambito delle relazioni, quasi un rapporto erotico o amoroso. A tratti è una relazione difficile, a tratti è un flirt, a tratti va benissimo, a tratti non funziona. Ma in ogni caso è così.

