Sirene. Centauri. Minotauri. Arpie. Satiri. Cerberi. Le creature a metà di solito ci risultano inafferrabili, perché sono molte cose – almeno due – allo stesso tempo. Ed è questo che di loro ci attrae così tanto e ci affascina.
Lo stesso si può dire di Ivan Cazzola che “fa ritratti ma non è un ritrattista; è affascinato dai paesaggi, ma non è un paesaggista; le sue fotografie documentano un momento storico, ma non è un documentarista; nel suo lavoro tutti questi generi sono rappresentati contemporaneamente e ci appaiono in modo organico e intimo, come un racconto personale” (Artribune).
Strana creatura, Cazzola, vicinissimo e inafferrabile. Difficile da descrivere.
Contemporaneo, eppure sceglie di chiamare il suo studio di fotografia di Torino Comodo64, per omaggiare il mitico computer che negli anni ‘80 e ’90 ha cresciuto una generazione, il Commodore 64.
Artista, eppure è l’autore di campagne pubblicitarie di successo orientate alla vendita di beni di consumo, come quella di Robe di Kappa 2025.
Fotografo, eppure è uno dei videomaker più stimati del panorama musicale italiano (è sua la firma del videoclip Pugno di Sabbia dei Subsonica, solo per fare un esempio).
Insomma, ci sembra che Ivan Cazzola sia la persona più indicata a cui chiedere come due cose apparentemente inconciliabili – l’arte, che vive per l’arte, e la pubblicità, che vive per la vendita e il consumo – possano andare più che d’accordo, in fondo.
E quindi, Ivan, qual è il tuo rapporto con la fotografia artistica e il compromesso – ché non è una brutta parola – con la fotografia commerciale e pubblicitaria? Rispondendo a questa domanda, mostraci anche dei tuoi lavori.
La fotografia artistica, per me, è espressione libera. È una ricerca personale che nasce da un’urgenza interiore, da qualcosa che preme dentro e chiede forma. È il luogo dove posso esplorare temi che mi appartengono, che forse non hanno un mercato, ma hanno un senso profondo per me. Ogni scatto nasce da un’emozione, una luce, una fragilità, una domanda senza risposta. È un linguaggio che mi permette di dire ciò che con le parole non riuscirei mai a esprimere.
La fotografia commerciale e pubblicitaria, invece, è un’altra lingua, diversa ma altrettanto affascinante. È relazione, ascolto, confronto. Ha delle regole, sì, ma anche lì cerco sempre di lasciare un’impronta, di portare un frammento di autenticità. Il compromesso non lo vivo come una rinuncia, ma come una sfida creativa: riuscire a essere vero anche all’interno di un contesto con obiettivi precisi. A volte è faticoso, altre volte sorprendentemente liberatorio.
Col tempo ho smesso di separare questi due mondi. Uno mi ricorda chi sono, l’altro mi insegna a guardare fuori da me, con occhi diversi. E quando riesco a farli dialogare, quando l’intimo incontra il mestiere, sento che la mia fotografia prende davvero vita. È un equilibrio sottile, instabile, ma proprio per questo profondamente umano.
Un equilibrio che provo a studiare fin da quando sono bambino: il mio immaginario si è formato anche con la curiosità che provavo guardando le pubblicità di grandi brand in televisione. Quei brand che hanno sempre qualcosa di geniale dentro, a ben vedere.
Se con questo approccio guardo la fotografia, commerciale e pubblicitaria tanto quanto quella artistica, mi rendo conto che non ci sono davvero dei confini tra le due. Lavorare su entrambe non è solo divertente – quel divertimento da bambino che ti fa stare affascinante davanti alla tv – ma è anche un esercizio.
Quando sei un fotografo libero per il mondo con solo la tua macchina, è un conto. Il vero salto, per me, è quando hai invece una committenza – di un brand – molto precisa, con reference molto specifiche. Interpretando il brief del cliente, devi cercare di fare ciò che ti viene richiesto portando però anche la tua visione artistica. Quello è il salto.
Questo è il mio obiettivo degli ultimi anni. Dal momento in cui ho aperto Comodo64, otto anni fa, ho demarcato una linea precisa a livello professionale: se prima mi dividevo tra i due mondi, cioè quello della notte, più artistico, e quello della regia e dei videoclip commerciali, ora le due cose si alimentano a vicenda. Ed è un allenamento continuo, dell’occhio e della creatività, per interpretare meglio il brand o l’artista.
Questo è il senso del mio mondo e della mia fotografia.

